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Future Children N.4 (Hunay!!!!)
Future children n.4 (Hunay!!!!)
And last but not least, here's Hunay!!!!
Gryss: greenish skin, tall, a bit stocky, black hair, brown eyes, super nice and extremely shy and selfless. Curious, honest and loyal.
Max: Brown skin, literally balmeran, yellow eyes, light blue/blue hair. Honest and intelligent, introverted and observant, great cook and loves to build. He is 4 years younger than Gryss.
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Don't mess with Pidge!!!
The team arrives on a Galra cruiser and trap a commander looking for information Keith: He don't wanna talk! Pidge: I'll try! She came closer to him, looking at him with a seriuos and face. Pidge: Talk, now! Comander, laughing: Or else? Pidge: Or else.... I will publish all your browser history... Comander, crying: Okay, okay! I'l tell you what you want!
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Mewhile Keith: Wow, she's good... Shiro: Very good...
Team Voltron Heroes. Capitolo 2: Matt
Gotham city, anno 2134
Il suono della sveglia lo fece alzare di colpo, riportandolo nel mondo reale. Rimase un po’ a letto, guardando il vecchio soffitto in mattoni e sospirando, sentendo che sarà un’altra giornata uguale a tutte le altre. Mattew Holt sapeva che la quotidianità era il suo forte tanto quanto lo erano i computer e la tecnologia, quindi per lui ripetere le stesse azioni ogni giorno e nello stesso preciso ordine e tempo era rilassante. Per quanto potesse essere sempre curioso e affascinato da molte cose, era anche un uomo preciso e ordinato, soprattutto durante la sua routine.
Alzandosi e dirigendosi verso il vecchio bagno, zoppicando lentamente sulle gambe indebolite dalla notte, aprendo un mobiletto in acciaio con alcuni foglietti verdi dove si appuntava le cose, prendendo oggetti per la piccola barbetta che aveva e che tagliava senza pietà ogni fine settimana. Sbadigliando aprì un prodotto per capelli e massaggiò il cuoio capelluto, seguendo rigorosamente ciò che scrivevano sul foglietto della confezione.
Passato poi dal piccolo ma comodo angolo cottura, si fece del caffè amaro e lo bevve con calma alla vista della luna avvicinarsi sempre di più all’orizzonte, e alla grande piazza di Gotham che si svuotava man mano della gente notturna. Matt ridacchiò tra sé e sé, nonostante vivesse letteralmente al centro della città con il tasso di criminalità più alto del mondo, non aveva per nulla paura dei criminali, e anche se avesse i giusti poteri, non voleva diventare un supereroe.
Solo la classica e tranquilla normalità, ecco cosa gli piaceva.
Si mise una felpa verde e dei jeans marroni, scese poi le traballanti e scricchiolanti scale in acciaio che conducevano dalla sua piccola abitazione al secondo piano al negozietto di elettronica e riparazioni al piano terra.
“Buongiorno BaeBae, nessuno è venuto a derubarci stanotte, vero?”: sorrise Matt, vedendo la cagnolina scodinzolare alla sua entrata, accogliendolo cercando gi leccargli le scarpe. Lui l’accarezzò sorridendo, buttando via il giornale del giorno prima sbuffando leggendo nuovamente il titolo della prima pagina. Aperte le saracinesche, si sedette alla scrivania lavorando su un computer rotto preso a pochi dollari a un’asta. Buco sullo schermo che aveva danneggiato completamente i circuiti interni, irriparabile anche secondo i migliori. Matt sogghignò. Toccandolo, emettendo una lieve luce verdasta, il buco si chiuse senza lasciare una minima traccia o graffio. Le zampe anteriori appoggiate alla scrivania mentre scodinzolava vedendo l’intero processo.
“Shh… Non lo dirai a nessuno, vero vecchiona?”: lui le fece l’occhiolino, scrivendo su un foglietto il prezzo del computer ora riparato e posizionandolo in mostra su uno scaffale e mettendosi fieramente le mani sulla vita. Eppure, proprio in quel momento, sentì un forte tondo che fece vibrare leggermente il pavimento, affacciandosi alla porta in vetro del negozio, vide tutti i supereroi riuniti nella piazza, insieme a quella che sembrava un’astronave aliena sconosciuta. Dal centro di quella astronave, si poteva vedere una sfera di potenza crescere gradualmente, e la mente tecnologica e intelligente di Matt sapeva che stava preparando un attacco imminente, che avrebbe probabilmente distrutto la piazza e il suo negozio. Eppure c’erano i super, potevano proteggerli, dovevano proteggerli.
Poteva sentire BaeBae piagnucolare spaventata vicino alla porta che conduceva alla cantina, un luogo protetto che aveva costruito come se fosse un bunker sotterraneo.
“BaeBae, vai dento”: ordinò lui, e il cane non se lo fece ripetere due volte, correndo con la coda tra le gambe, aprendo la porta con la zampa e scendendo le scale.
Rimase lì alla porta, stupidamente, ma curioso di vedere per la prima volta gli eroi in azione dal vivo e durante il giorno, perché proprio dietro l’astronave si vedeva il sole crescere sempre di più e alzarsi in cielo. L’astronave nemica attaccò, lanciando un raggio laser e distruggendo una buona parte della piazza, i corpi di quelli che erano lì carbonizzati.
“Merda…”: dopo quella visione, Matt si precipitò verso la porta, ma un colpo vicino lo fece cadere, rompendo molte mensole. Si rialzò, sentendo la testa pulsare e vedendo la porta davanti a lui bloccata da pezzi di acciaio caduti dalle mensole. Tirò con tutte le sue forze, ignorando i continui tremolii e colpi che pian piano distruggevano quasi tutto, meno che la sua piccola palazzina. Forse era fortuna, o forse i supereroi stavano combattendo, ma non importava adesso. Voleva solo mettersi in salvo e sopravvivere. Da dietro la porta poteva sentire i piagnucolii di BaeBae mentre raschiava il legno, cercando di aiutare il più possibile.
“BaeBae, torna dentro!”: Sibilò, provando a tirare o spingere con tutte le sue forze o cercando addirittura di sfondarla. E poi, sentì un forte dolore al fianco quando venne violentemente spinto nella strada insieme alle macerie di quello che prima era la sua casa e il suo negozio. Mentre la sua visione era soggetta a flash bianchi e neri, poteva vedere la piazza e le strade distrutte, il suo corpo dal fianco in giù completamente immerso da detriti pesanti e cavi d’acciaio. Il sole aveva già preso posto nel cielo, dicendo a Gotham che era mattina e mentre Matt stava lentamente svenendo, vide una figura in un’armatura nera e rossa, un mantello viola e capelli neri.
Un supereroe. Forse l’unico supereroe a essere sopravvissuto. E lo conosceva. Zarkon. Non era mai stato molto altruista nei confronti dei cittadini, conosciuto per la sua sete di vendetta verso Sendak, ma forse…
Allungò il braccio, cercando di urlare nonostante la debolezza, viaggiando tra la coscienza e l’incoscienza. Solo quando lo vide girarsi e correre verso di lui, finalmente, chiuse gli occhi.
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Quando Matt aprì gli occhi, non era più circondato di macerie o in mezzo alla strada. Sbattendo gli occhi un paio di volte, aveva pensato fosse solo un incubo, ma poi, guardando meglio il soffitto, verdastro e oro con un lussuoso lampadario, diverso dal puzzolente mattone vecchio, si ritrovò parecchio confuso.
“Non pensavo lo avessi salvato…”: due voci maschili stavano dialogando, l’annebbiamento alla testa gli impediva di capire chi erano o dov’era.
“Non avevo altra scelta…”: rispose un’altra voce, abbastanza più giovane:” Mentre tu e Kosmo eravate a fare l’ispezione con Sanda e Iverson, io l’ho portato qui ma… è strano… non ho avuto bisogno di curarlo…”
“Keith?”: L’uomo più grande disse con voce di rimprovero.
“E’ stato ferito con un spesso filo di acciaio, quando lo portavo sanguinava ma appena sono arrivato qui… la ferita si era già ricucita da sola…”: si giustificò l’altro:” Era… verde…”
Matt strizzò nuovamente gli occhi, strofinandoseli e gemendo, facendo rimbalzare i due uomini.
“Sei sveglio”: disse il primo, avvicinandosi al letto comodo della stanza degli ospiti e guardandolo:” Ti ricordi come ti chiami o cosa è successo?”
“Mi chiamo Matt…”: rispose lui, sedendosi senza troppa difficoltà e strofinandosi gli occhi:” Ricordo che un’astronave ha attaccato la piazza e i super”
“Oh… wow… non male…”: disse sorpreso l’altro, che se stava a braccia incrociate vicino al letto, ma più distante rispetto al primo. Matt lo guardò sgranando gli occhi. Capelli lunghi e neri. Occhi viola.
“Tu sei Zarkon”: disse guardandolo dalla testa ai piedi, con una giacca rossa, leggins e maglietta nera.
“Sì, sono io. Keith Kogane”: lui allungò il braccio, con un debole sorriso.
“Beh, grazie per avermi salvato… immagino…”: balbettò, stringendo saldamente la mano:” Sei l’unico sopravvissuto?”
L’uomo annuì, mordendosi il labbro, guardando l’altro uomo. Aveva accenni giapponesi, inoltre i suoi vestiti curati ed eleganti dicevano che probabilmente lui viveva in quella casa lussuosa. Guardandosi intorno poteva vedere le pareti dello stesso colore del soffitto, mobili e oggetti abbastanza rustici e costosi e la villa della città all’orizzonte.
“Come hai fatto?”: chiese improvvisamente Keith, guardandolo con uno sguardo leggermente curioso e intimidatorio.
“A fare cosa?”: lui alzò un sopracciglio, scuotendo la testa confuso, mentre l’altro faceva uno scatto in avanti, alzandogli la maglietta per vedere dei piccoli addominali e una cicatrice che stava lentamente guarendo da sola nel fianco.
“Keith-“: l’uomo più anziano si lasciò sfuggire uno sbuffo.
“Non ora Takashi!”: ringhiò Keith:” Come puoi farlo? Sei stato trafitto da un filo d’acciaio, diavolo, e non ho nemmeno dovuto disinfettare niente!”
“Lo posso fare?”: Le sue sopracciglia si alzarono sorpreso, la bocca in un leggero sorriso, solo fissando i due uomini spaventati scosse la testa e si scusò.
“L’importante è che ti sei ripreso…”: Takashi sorrise gentilmente, trasmettendo una calma confortante. Quell’uomo lo incuriosiva molto, dandogli un’aura di calma e tranquillità, ma soprattutto mistero, sentendo nella sua mente acuta e logica che lo aveva già visto da qualche parte.
“Kosmo! Che cavolo!”: esclamò Keith, mettendo le mani alla testa quando un enorme lupo corse nella stanza, interrompendo entrambi da quell’attimo di contatto visivo confortante. L’animale, che sembrava più una gigante palla di pelo, sbatté contro un piccolo comodino, facendolo traballare e cadere, rompendo l’elegante vaso in vetro che c’era sopra, seguito da niente meno che BaeBae.
“Vecchiona!”: esclamò Matt, tendendo le braccia aperte e, quando lei lo vide, si fermò scodinzolando allegramente dal gioco, saltando con molta fatica sul letto e leccandogli tutta la faccia.
“Io e Kosmo l’abbiamo trovata chiusa dentro una cantina-bunker mentre facevamo un giro di pattuglia con Iverson e Sanda, avevamo intenzione di portarla in canile oggi pomeriggio se non trovavamo il preopetario…”: Spiegò Takashi calmamente:” Beh… li chiamerò che non ci sarà più bisogno…”
Lui annuì, accarezzandola e facendole le coccole, contento e felice di vederla di nuovo con sé e viva, la paura di perderla un’altra volta.
“Grazie… Grazie davvero…”: sorrise, abbracciando la cagnolina e guardando nuovamente l’uomo seduto ai piedi del letto.
“Un supereroe deve aiutare…”: sorrise, mentre Keith brontolò un’altra volta alzando gli occhi al cielo, Matt annuì, asciugandosi delle lacrime salate che erano scese dalle sue guance, accarezzò nuovamente le orecchie di BaeBae.
“Va bene… Ti ho salvato, ma voglio lo stesso sapere comunque come hai fatto”: l’altro si avvicinò, alzando un sopracciglio con aria impaziente e autoritaria:” A curarti, intendo”
“Ecco… io non sapevo potessi farlo…”: rispose, sorridendo nuovamente guardando la cagnolina:” Ho un… ehm… chiamiamolo superpotere? Posso modificare e manipolare le tecnologie a mio piacimento… ma non pensavo potessi curarmi…”
“Le tecnologie, eh?”: Keith alzò un sopracciglio, muovendo la testa agitato:” E non hai mai pensato che forse avresti potuto diventare un supereroe e salvare vite? Avevi paura?”
“Non avevo paura, se questo intendi!”: ringhiò Matt, cercando di sembrare minaccioso:” Ho solo preferito la normalità, cosa c’è di male?”
“Cosa c’è di male? Hai aperto un negozio di elettronica, egoista!”: strinse i denti, avvicinandosi cercando di sembrare minaccioso, tuttavia la mente acuta dell’uomo più grande vide come stranamente zoppicava cercando di camminare normalmente per acquisire una forma minacciosa.
“Non voglio combattere”: disse semplicemente, senza sembrare troppo arrabbiato o infastidire:” Ed essere supereroi non è un obbligo, e io non sono di certo egoista!”
“Pensala come vuoi”: Keith strinse nuovamente i denti, sistemandosi la giacca e uscendo dalla stanza zoppicando. L’uomo scosse la testa quando BaeBae gli leccò nuovamente la guancia, riportandolo alla realtà.
Matt aveva sempre saputo, come lo sapevano tutti a Gotham, che Zarkon era un po’ scorbutico, e chi si nascondeva dietro la maschera non poteva essere da mano, tuttavia notava che allo stesso tempo, il ragazzo che si definiva come Keith Kogane, sotto la sua natura antipatica e crudele, si celava un segreto delicato e fragile; una debolezza che era la causa di tutto. E lui sapeva come ci sentiva, lui lo sapeva perché tutti gli uomini, anche quelli più potenti la hanno.
“Quanto tempo sono stato fuori?”: chiese infine, guardando nuovamente Takashi.
“Tre giorni… La città è un po’ nel caos, e anche tutto il mondo… Servono dei supereroi”: lui rispose, parlando con quella calma confortante nel tono, che faceva rilassare ogni muscolo.
“Tu conosci Zarkon, perché non combatti?”: Alzò un sopracciglio, notando la cicatrice sul naso e il ciuffo di capelli bianchi, e il braccio protesico in metallo.
“Io ho perso troppo, il mio supereroe non esiste più…”: raccontò con un sospiro, la voce leggermente tremante, mentre tirava fuori dalla mente un ricordo tutt’altro che piacevole.
“Capisco…”: Matt riflettè, guardando nuovamente l’uomo:” Tu eri Shiro, giusto?”
L’uomo giapponese annuì, guardandosi nuovamente il braccio in metallo scomodo e freddo, per poi spostare nuovamente l’occhio sulla persona seduta davanti a lui. Capelli corti castani, occhi oro, intelligente e intuitivo, gli ricordava molto qualcuno.
“Io e te ci siamo mai conosciuti?”: chiese semplicemente, un pizzico di curiosità nella voce:” Puoi ripetermi un attimo il tuo nome?”
“Matthew Holt”: rispose, lui sgranava gli occhi cercando nelle parti più remote del cervello qualcosa… e poi all’udire il suo cognome, come se so fosse accesa una lampadina, ricordò.
“Holt?”: ripetè come se fosse una domanda per accertarsi:” Come dottoressa Holt?”
“Era mia madre…”: rispose Matt, mentre anche lui iniziò a ricordare:” Tu sei… Taki? Dell’orfanotrofio?”
“Mattie”: esclamò lui, finalmente mettendo tutti i pezzi insieme, ricordando felicemente il suo amico d’infanzia. I due si scambiarono un caloroso abbraccio, ritrovati.
“Takashi… Ero rimasto che dovevi essere adottato da Bruce Wayne”: Esclamò, facendo sbattere le mani, sentendo di esservi ovviamente, e per un motivo altrettanto triste e delicato.
“Infatti”: Annuì, alzandosi dal letto e allargando le braccia, indicando tutta la stanza:” Adesso è tutto mio questo, ma non parliamo di me, amico. Eri scomparso! Per tutto l’Ohio c’erano volantini con la tua faccia sopra!”
“E’ una storia molto lunga, e non la dirò qui”: Matt sorrise quando quella temuta domanda arrivò, ma dopotutto le sue erano false speranze.
“Vedo che c’è molto da raccontare allora”: ridacchiò:” Iniziamo da me”
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Keith camminava a testa china, mani in tasca mentre passeggiava tra le strade principali, la gente dopo tre giorni si era, per fortuna, un po’ tranquillizzata, così come il misterioso nemico che aveva attaccato Gotham. Il sole si nascondeva dietro dei nuvoloni, mentre l’aria fresca gli colpiva la pelle scoperta sul collo. Il viaggio dalla villa alla città è stato piuttosto ventoso, tuttavia ha sempre trovato l’aria costante sul corpo mentre guidava la moto piuttosto piacevole.
Le strade e il marciapiede erano ovviamente affollati, e schivare tutte quelle persone, soprattutto quando era in una crisi di nervi, era piuttosto snervante. Il fatto che nessuno lo avesse ancora urtato lo stava tenendo sotto controllo, evitando che la bomba dentro di lui esplodesse.
…
Appena detto. Stava camminando vicino ad un incrocio mentre lo pensava, e in quel momento, un castano dalla pelle abbronzata gli è andato addosso mentre parlava con la ragazza bionda dietro di lui.
“Che cavolo!”: esclamò l’altro, mentre entrambi cadevano a terra sull’asfalto caldo e scomodo del marciapiede. Un attimo per guardarsi, solo per vedere chi avessero colpito, mentre la donna dai codini bassi biondi restava ferma in piedi accanto, le mani sulla bocca.
“Io ti conosco!”: esclamarono entrambi allo stesso tempo.
“Lance! Riconoscerei quegli occhi di merda ovunque!”/”Keith! Riconoscerei quella triglia orrenda ovunque!”
Ancora una volta, pronunciarono le frasi nello stesso momento, mentre Keith lo levava da dosso dandogli uno spintone. Lance perse nuovamente l’equilibrio, ma stavolta la donna di prima lo prese e lo rialzò prima di farlo cadere a terra.
“Lui è Keith?!”: esclamò lei, mettendosi di fianco a lui con un’espressione sorpresa, cambiando cercando di essere minacciosa:” Lasciaci andare, mostro!”
“E il mostro sarei io?!”: esclamò, avvicinandosi a loro, mentre lei si nascondeva dietro Lance:” Parla l’atlantideo!”
“Lascia stare, Romelle. Sono cose da uomini!”: ringhiò lui, avvicinandosi a sua volta mentre lei alzava gli occhi cielo:” Perché, cosa c’è di strano? Odi i turisti? Gotham ne è piena!”
“No, odio solo voi!”: rispose incrociando le braccia:” Tornate negli abissi!”
Riuscì a finire la frase, per poi essere colpito alla mascella. Il colpo lo fece cadere nuovamente a terra, il labbro sanguinante. Si guardò intorno, vedendo numerose persone che li circondavano, curiosi del casino che si era appena creato e Keith, che non era dell’umore giusto per una scenata, si alzò e se ne andò.
“Bastardi”: sputò del sangue per terra, tornando alla villa.
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Quando Keith tornò alla villa, l’abitazione era piena di risate provenienti dai piani superiori. Entrato nella stanza degli ospiti, vide Takashi e Matt parlare e scherzare animatamente sul letto, le mani del tecnico saldamente sul braccio protesico, gli occhi chiusi e i palmi leggermente illuminati da una lucina verdastra. Entrò senza fare rumore, vedendo BaeBae sul letto e Kosmo seduto di fianco a Takashi, entrambi che scodinzolavano alla scena.
“Già migliori amici, eh?”: entrò, accarezzando il lupo, e sentendo il dolore alla mascella mentre si sforzava a parlare.
“Ow… Dovrebbe fare male…”: sibilò Matt, mentre l’altro uomo si metteva una mano sulla fronte.
“Sei già andato a immischiarti in una rissa?”: brontolò con un sospiro, non sapendo più che fare.
“Non era una rissa. Ho rivisto Lance”: rispose, mentre il castano gli prendeva il mento per vedere la ferita, accarezzandola con un dito.
“Non puoi sempre essere impulsivo, Keith”: lo rimproverò il giapponese:” Quando diventerai un leader metterai tutta la squadra in pericolo!”
“Ma non sono un leader!”: ribattè, sibilando per il dolore quando toccò un punto sensibile e delicato sul labbro. Matt annuì, chiudendo di nuovo gli occhi e facendo nuovamente la sua magia, i palmi verdastri mentre illuminavano la pelle troppo pallida di Keith, curando il taglio sul labbro.
“Stavolta sono serio, davvero non vuoi essere un supereroe?”: stavolta la voce era molto più dolce e gentile, ma allo stesso tempo assumeva un tono più ansioso e supplicante e non si sarebbe mai aspettato di sentirla da Zarkon. Lui si morse il labbro, ripensando a tutta la sua vita, ai suoi amici, genitori, famiglia… tutto.
“Solo perché so che la gente non ti prenderebbe sul serio”: rise, dandogli un leggero pugno sul petto quando finì:” Ma prima ti guarisco la gamba, devo fare pratica!”
“Non penso ci sia tempo”: la voce fredda, seria di Takashi fece rabbrividire entrambi, interrompendo la piccola e corta sinfonia di pace che si era creata. L’uomo più vecchio era in piedi alla finestra, le mani dietro la schiena e lo sguardo fisso verso la città.
“L’astronave si sta muovendo…”
Team Voltron Heroes Capitolo 3: Lance e Romelle
Gotham, anno 2134
Non appena uscirono dall’ascensore, Matt si guardò intorno vedendo le pareti bianche, oro e viola che ricoprivano la batcaverna, un enorme schermo con computer da una parte, un largo spazio di allentamento con costumi armi e mezzi di trasporto. I suoi occhi balzavano da un lato a un altro della caverna, studiando ogni minimo dettaglio di quanto quella tecnologia fosse magnifica e all’avanguardia persino per lui.
Durante il corto viaggio nell’ascensore aveva curato anche la gamba di Keith, tuttavia ha anche scoperto che “riparare” le persone era per lui molto più stancante che riparare computer, per cui si era promesso di evitarlo a meno che non fosse strettamente necessario. Inoltre era lo stesso un dilettante, senza esperienza tantomeno capacità di combattimento anche se anni fa aveva bruciato un intero laboratorio, per cui Takashi e, con molti sospiri, Keith avevano deciso di lasciarlo momentaneamente in ultima fila. I due uomini avevano entrambi capito che Matt Holt era un genio col sangue freddo che imparava in fretta e che sicuramente si sarebbe adattato alla situazione.
“Matt, vieni, non abbiamo molto tempo”: la voce autoritaria di Keith, che suonava sempre stranamente intimidatoria, fece risvegliare il giovane Holt dalla sua marea di meraviglia con cui studiava ogni particolare. Si ricompose, annuendo e seguendoli verso una parete con uno schermo. Il supereroe iniziò a digitare qualcosa che sembrava una tuta, mentre Takashi si spostò verso una scrivania con computer tecnologici che inquadravano la grande astronave che tre giorni fa aveva distrutto gran parte di Gotham, in altri delle piante della città. Si diresse verso quest’ultimo, guardando attentamente ogni schermo.
“Io non vedo nessun pericolo”: fece notare, indicando l’astronave ferma e la città sembrava piuttosto calma e non c’era nessun segnale di pericolo. Certo, erano passati solo tre giorni dall’attentato, ma molti criminali come quel Sendak che sentiva sempre in giro avrebbe potuto approfittare del caos e del panico per fare qualcosa, o forse era proprio a causa del caos e del panico che la gente era più prudente e sospettosa. Dopotutto le persone erano imprevedibili, per questo Matt preferiva i computers.
“Esattamente. quando prima stavo guardando fuori dalla finestra ho visto fumo spuntare dall’astronave, ma in questo momento è ferma come se nulla fosse successo…”: esaminò, indicando punti negli schermi e riflettendo.
“Il nemico ha cambiato idea?”: alzò un sopracciglio.
“La mia esperienza mi dice che è quello che vogliano pensiamo. Sta progettando qualcosa…”: mormorò, accarezzandosi il mento con il pollice:” Eppure non riesco a vedere niente di anomalo…”
“Un secondo”: disse Matt, facendo alzare l’uomo e sedendosi al suo posto, digitando qualcosa sulla tastiera, toccando poi lo schermo e chiudendo gli occhi. I palmi iniziarono a illuminarsi nuovamente di quel colore verde chiaro, mentre per la prima volta sentiva impulsi di elettricità in tutto il corpo, messaggi captati in codici come se fosse diventato un tutt’uno con il computer. Mentre gli occhi erano chiusi, chissà come poteva vedere attraverso tutte le telecamere della città e percepire ogni tipo di tecnologia fino alla periferia di Gotham, da computer e televisioni nelle case a una piccola navicella parcheggiata proprio sul retro della vecchia banca. Aspetta, cosa?
Aprì nuovamente gli occhi, quasi con il fiatone e il sudore faceva appiccicare la frangetta alla fronte.
“Matt? Stai bene?”: chiese Takashi, appoggiando la mano robotica sulla sua spalla, mentre l’altro annuiva.
“Ho trovato qualcosa sul retro della vecchia banca”: tossì, cercando qualche telecamera che inquadrasse il vicolo proprio dietro al vecchio edificio. Lo sguardo dell’uomo giapponese divenne leggermente cupo, mentre si guardava la protesi, i ricordi che riaffioravano nella sua mente. Dall’altra parte della stanza Keith grugnì, e Matt capì che quel posto era sinonimo di brutti ricordi e per settimane l’incidente era su tutti i giornali.
“Il vecchio covo di Sendak”: brontolò Keith, sbuffando e stringendo i denti:” Pensate sia opera sua?”
“No, la tecnologia di Sendak non è così avanzata…”: rispose Takashi:” Anche se si è arricchito spacciando non avrebbe mai potuto costruire un’astronave così avanzata sotto i nostri occhi…”
“Che mi dici del Trygel? E’ da anni che Sendak cerca di contattare quel laboratorio segreto…”: ragionò, continuando a concentrarsi anche sullo schermo davanti a lui, digitando e modificando.
“Negativo, Trygel è stato distrutto quattro anni fa”: Matt si immischiò nella conversazione tra i due, che lo guardavano stupiti.
“Distrutto?”: Takashi alzò un sopracciglio:” Come... Come fai a saperlo?”
“Hanno scoperto che la base Trygel si trovava in Ohio, è stata distrutta da un loro esperimento scientifico”: spiegò:” Anche se non ne hanno parlato molto sui giornali…”
I due uomini lo guardarono annuendo, Keith si rigirò perfino verso lo schermo, troppo impegnato a pensare. Dopotutto Matt non aveva mentito, ma non poteva neanche dire di essere stato troppo onesto con loro; in fondo quello era il suo segreto, e non era ancora pronto a confessarsi.
“Qualunque cosa sia successa, è tutto troppo strano…”: Takashi interruppe il profondo silenzio, alzandosi dalla sedia e camminando lentamente per un po’. Si fermò, girandosi verso gli altri due:” Conviene comunque controllare. Non sappiamo chi sia il nostro nemico o cosa vuole. Sappiamo troppo poco.”
Matt annuì, alzandosi anche lui, sobbalzando dallo spavento quando la parete davanti a Keith si divise, facendo uscire della nebbiolina e un brillante costume da supereroe su un manichino nero. L’armatura del busto marrone, il lungo mantello grigio e i larghi pantaloni neri risaltavano con la maschera e la cintura verde brillante, rendendo la tuta elegante quanto misteriosa e affascinante. I numerosi particolari verdi e oro sulle spalle davano un grande senso di potenza e lucentezza così come i piccoli e fini dettagli bianchi.
“Ti manca solo un nome”: Keith ridacchiò quando spostò lo sguardo su di lui, il corpo fermo nella stessa posizione. In cambio ricevette un sorriso d’intesa.
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Lance stava camminando goffamente, alzando ogni volta gli occhi al cielo mentre Romelle correva in giro, affascinata anche dalle piccole e fastidiose crepe sul cemento. Lo spiacevole incontro con Keith lo aveva alterato, rendendolo nervoso e stressato. La missione che avevano era già difficile senza il suo “aiuto”, senza contare che gli eventi precedenti lo avevano reso emotivo e instabile e la rabbia era un’emozione che non voleva avere. Romelle, d’altra parte, da atlatidea purosangue, non aveva mai visto il mondo in superficie e ogni minimo dettaglio per lei era quasi una vera e propria arte; tuttavia lui non sapeva come faceva a essere così agitata e piena di forze dopo tutto quello che era successo ad Atlantide.
“Romelle! Per l’ultima volta, stai ferma un attimo!”: esclamò nuovamente con un tono stanco quando ricevette un’altra occhiataccia infastidita dai passanti che camminavano lentamente. La donna si limitò a fare la linguaccia, chinandosi davanti alla vetrina di una pasticceria e osservando i dolci esposti dall’aspetto delizioso.
“Come farò a fare colpo sulle ragazze se sembra vado in giro con una pazza?”: riflettè ad alta voce.
“Perché non provi a prendere a una bella ragazza una di queste torte buonissime?”: consigliò, indicando una cheesecake con delle fragole.
“Non ti comprerò una torta, Romelle”: sorrise leggermente divertito alzando un sopracciglio mentre lei faceva il broncio.
“Però ne avremo bisogno… Ho fame e abbiamo nuotato da Atlantide fino a qui!”: fece notare, accarezzando il vetro come se, per qualche fantasiosa magia, quella torta lo avrebbe attraversato volando fino a loro.
“E con quali soldi?”
“Il tipo lì dentro sembra gentile, magari ce la regala!”:
Lance si fermò a osservare il grande uomo robusto e sorridente in cassa mentre dava a una cliente giocane e piuttosto bella un sacchetto giallo. In effetti, se non fosse per il fisico, sembrava una persona perfettamente loquace e gentile, ma per una torta non ne valeva la pena. Tuttavia non poteva neanche ignorare lo stomaco brontolante e gli occhietti di Romelle che si erano allargati per convincerlo. Stava per parlare quando sentì delle urla e lo scoppio di un motore.
Entrambi si girarono nel momento in cui davanti a loro sfrecciò una macchina grigia, viola e con delle rifiniture verdi a tutta velocità. Bastava poco per riconoscere che non era un mezzo qualunque, ma qualcosa di più tecnologicamente avanzato e famigliare. Romelle si alzò silenziosamente accanto a lui, lo sguardo fisso e determinato e a volte a Lance faceva paura vedere come velocemente la sua personalità passava da bambina piccola a un soldato capace e fiero.
“Trovato”: sorrise, correndo dietro all’auto per le vie della città. Il misterioso guidatore dev’essersi accorto di loro, cambiando strada continuamente e girando per diversi isolati e quartieri senza fermarsi, tuttavia riuscirono lo stesso a raggiungerlo e a vederlo parcheggiare nel vicolo di un vecchio edificio abbandonato nel centro.
I due si nascosero dietro un angolo, osservando l’uomo uscire dall’auto con un’armatura abbinata e un casco con una visiera nera che impediva la visione del viso. Con un semplice tocco su un telecomando l’auto diventò invisibile.
“Affascinante!”: sussurrò Romelle, gli occhi pieni di stelle dalla meraviglia:” La possiamo rubare?”
“Concentrati, Romelle!”: disse Lance, sbirciando dal nascondiglio e guardandosi intorno se non c’erano uomini armati o altro. Il grattacielo alto in vetro ricoperto di impalcature e qualche finestra rotta sembrava un posto disabitato e inutile come nascondiglio quanto perfetto. La donna si inginocchiò per terra, prendendo dalla borsa un completo elastico ma molto resistente. E quando lui lo vide, sentì nuovamente gli occhi lucidi.
“Il completo di mio padre?”: chiese, quasi non credendo a quello che aveva davanti quando lei glielo perse tra le mani annuendo.
“Mantieni la promessa e rendilo fiero”: ordinò, ma il suo tono sembrava più un invito o un promemoria, e Lance non poteva farselo ripetere due volte. Annuì, abbracciandola forte mentre guardava la tuta con fierezza. Avrebbe rispettato la promessa, avrebbe reso fiero suo padre e tutti coloro che credevano in lui, e avrebbe anche dato calci in culo a quelli che invece gli avevano tolto tutto. Con uno sguardo d’intesa si nascose dietro un bidone dell’immondizia per cambiarsi e quando uscì, si sentiva pronto a tutto.
Romelle applaudì silenziosamente con un sorriso caloroso e fiero, tornando alla sua postazione.
“Andiamo?”: chiese, senza vedere nessun passante o altre persone.
“Andiamo”: annuì Lance, entrando silenziosamente dalla porta dove il tizio di prima era sparito e camminando attraverso l’edificio pieno di oggetti o mobili. Entrambi cercarono di essere il più silenziosi possibili, tuttavia ad ogni passo i loro passi echeggiavano e interrompevano il silenzio assordante. Probabilmente la persona che stavano cercando sapeva che erano lì da quando erano entrati, ma l’importante era provarci. Dopotutto per loro non era la prima che si intrufolavano dentro qualche edificio, ma farlo mentre si nuotava era molto più facile. Dopotutto l’unica cosa che dovevano fare era solo imparare, no?
Man mano che salivano per i piani, notarono che le scrivanie e le sedie diventavano sempre di meno, c’erano più fogli sparsi in giro, finchè non arrivarono al sesto piano: completamente vuoto. Le colonne in cemento sporco davano a quel piano un senso di solitudine e vecchiaia, mentre l’odore di muffa e alcol in giro, dei cuscini e una coperta in un angolo e un lungo tavolo in legno rettangolare faceva capire che era usato come covo, inoltre le tubature scoperte e arrugginite, l’acqua che gocciolava da perdite e crepe, sembrava quasi un contrasto con gli altri piani più eleganti e moderni.
Lance e Romelle capirono solo dalle bottiglie mezze vuote sul tavolo e da dei mazzi di banconote che fino a poco prima abitava qualcuno.
“Sono già scappati?”: Romelle alzò un sopracciglio, abbassando la guardia velocemente e passeggiando per la stanza, avvicinandosi al tavolone: ”Siamo sicuri era proprio lui? Non penso che uno che ha progettato un colpo di stato venda farina…”
“Romelle non è farina- Fa niente, lascia stare…”: Lance disse, vedendo la faccia confusa dell’amica quando lei toccò quella strana e soffice polverina bianca. Alzò le spalle raggiungendola, intascandosi le banconote.
“Non è rubare?”: scosse la testa.
“Non volevi rubare anche la torta?”: lui alzò un sopracciglio con un tono canzonatorio e divertito, cercando un posto sulla tuta dove poterle nascondere. Poteva essere bella e comoda, una maglietta bianca a maniche azzurre e una riga oro sulla schiena e sul colletto e pantaloni rossi, ma non aveva tasche e puzzava di acqua di mare. Beh, tecnicamente tutte e due puzzavano di acqua di mare…
“Regalare”: lo corresse con un occhiolino, gesticolando con le mani.
“E la macchina?”: il suo sorriso si allargò, lasciandosi sfuggire una ridata.
“La volevo confiscare”: corresse nuovamente, il tono insicuro e bugiardo come se si stesse arrampicando sui vetri. Lance scosse la testa ridendo, lanciandole le banconote così che le mettesse nella piccola ma spaziosa borsa di tela rosa pallido.
Un rumore metallico li fece entrambi alzare la guardia, Lance con le mani tese mentre si concentrava, facendo tremare le tubature, Romelle si stava tenendo stretta la borsa, gli occhi blu che volavano in tutti i punti della stanza. Quando si girarono, videro un uomo di statura media salire lentamente e con fatica le scale, sorreggendosi con un bastone metallico. Quando arrivò, si chinò sulle ginocchia respirando affannosamente.
“Potevate scegliere un piano più in basso, no?”: disse riprendendo fiato, alzando la testa per guardare entrambi, girandosi nuovamente come se avesse perso qualcosa. Dalla maschera e dal costume sembrava essere un supereroe, anche se dall’aria molto impacciata e goffa; probabilmente come loro era un principiante.
Dall’altro lato della stanza, sentirono un rumore metallico più piccolo, mentre un cilindro viola rotolava sotto i loro piedi e liberava un gas bianco. Flussi di tosse li colpirono, coprendosi la bocca con la mano e piegandosi nel tentativo di non respirare qualsiasi cosa fosse. Il supereroe, nel mentre, era rimasto lì in piedi e stava gesticolando con le dita, come se volesse dire…”no”?
In men che non si dica, silenziosamente, Romelle cadde a terra con un gemito, toccandosi la schiena dolorante mentre davanti a Lance c’era un uomo.
Non si fece prendere alla sprovvista, iniziando a combattere con mosse di difesa che aveva visto o imparato, iniziando con un pugno diretto che venne facilmente fermato. Venne colpito alla mascella quando vide la donna riprendersi e bloccare il braccio prima che scagliasse un altro colpo, ma non si rivelò molto utile quando, subito dopo, venne anch’essa colpita al naso. Stavolta, però, la mano di quell’uomo misterioso vagò dietro la schiena, sfoderando una spada troppo piccola per essere una katana. Gliela avvicinò al collo creando pressione, ma quando la nebbiolina iniziò a diminuire si fermò e spalancò gli occhi.
“Lance?!”: esclamò sorpreso, buttandolo a terra e rifoderando la spada. Lui lo guardò meglio e nonostante l’armatura viola e ingombrante, riconobbe subito chi fosse.
“Keith?!”: esclamò, alzandosi in piedi e togliendosi la polvere dalla tuta:” Che cazzo ci fai qui? Hai rovinato tutto!”
“Rovinato tutto? Ho seguito la macchina della persona che ha distrutto Gotham!”: abbaiò, lo sguardo minaccioso e infastidito:” E tra l’altro potrei chiederti la stessa cosa!”
“Sto cercando il tipo che ha distrutto Atlantide!”: rispose, appoggiando la fronte sulla sua e contrastandolo.
“Davvero?”: alzò un sopracciglio:” Non copiarmi Kogane! Atlantide è stata distrutta da voi atlantidei!”
“Atlantide distrutta?!”: chiese sorpreso l’altro supereroe, rimasto vicino alle scale.
“E’ stato in coma per tre giorni”: spiegò Keith:” Ma non mi hai risposto, perché siete qui? E’ una scena del crimine!”
“Stiamo cercando il tipo che ha distrutto Atlantide”: Lance scandì bene le parole, facendo smorfie e storpiando il viso:” Sai, no? Vedetta… la conosci bene te, Mullet”
L’uomo fece un profondo respiro, cercando di calmarsi per non ucciderli entrambi lì e ora. Dopotutto li avevano visti rubare delle banconote, erano sempre criminali.
“Lascia stare il mio amico!”: Romelle si intromise, alzandosi da terra e raggiungendolo, prendendolo a braccetto:” Sta dicendo la verità!”
“Ah, sì? Beh non mi fido di un bambino che gioca a fare il supereroe con una tutina da pagliaccio”: rispose orgoglioso, guardandolo da cima a fondo.
“Sono la principessa di Altantide”: spiegò lei, prima che Lance potesse prenderlo a morsi per l’inculto clamoroso:” Qualcuno ha incitato il popolo contro mio fratello, il re Bandor e corrotto l’esercito”
“Siete sicuri che è qui a Gotham codesta persona?”: alzò un sopracciglio insospettito:” Anche se non sembri bugiarda…”
“Oh, no! La principessa pazza sta dicendo la verità!”: l’uomo allargò le braccia in alto.
“Sappiamo che dopo aver causato tutto questo il nostro nemico misterioso si è recato a Gotham, abbiamo seguito l’astronave”: rispose lei, mentre Matt li raggiungeva pigramente, zoppicando e aggrappandosi al bastone.
“Ragazzi…”: la voce di Takashi attraverso le comunicazioni era forte e chiara:” Fidatevi, quello che hanno detto coincide con il vero”
“Sei sicuro, Takashi?”: confermò Matt, appoggiando il dito sull’auricolare, dimenticandosi la veloce dimostrazione che gli avevano dato prima di partire.
“Non so… Come avete fatto a venire fin qui?”: chiese nuovamente, ignorando la voce dell’uomo più vecchio che ora li monitorava da villa Wayne.
“Abbiamo seguito l’auto”: rispose Lance, alzando le spalle:” Quella che è diventata invisibile”
“Tecnicamente è una navicella”: il nuovo supereroe si intromise timidamente, alzando un dito e chiudendo gli occhi mentre spiegava:” Una navicella è capace di viaggiare attraverso lo spazio e la fantascienza ed è solitamente in metallo. Anche se in effetti quello sembrava più un caccia modificato in modo da mimetizzarsi con l’ambiente circostante e-“
“Okay, abbiamo capito!”: Lance lo interruppe, tappandosi le orecchie:” Qualsiasi cosa fosse l’abbiamo vista, riconosciuta e seguita!”
“Cosa dovremmo fare, Takashi?”: chiese Keith, la voce ferma e stranamente calma.
“Collaborate, da quello che ho capito stanno cercando la stessa nostra persona”: ragionò:” Meglio averli in squadra che come nemici, abbiamo lo stesso obiettivo”
“Non se ne parla! Abbiamo già lui!”: indicò Matt, ringhiando:” Non formeremo una squadra!”
“Keith, è l’unico modo”: lo rimproverò attraverso l’auricolare:” Fidati di me”
Keith brontolò dando a Lance una pacca sulla spalla, mentre da molti piani più in basso, si sentì un fastidioso scoppio e il rumore della partenza di un’auto.
“No!”: esclamò, sporgendosi da una finestra rotta e vedendo le strade vuote sotto ai suoi piedi.
“È scappato, di nuovo”: si lamentò Romelle, piagnucolando e appoggiandosi a Matt.
“Bene, supereroe, ora cosa facciamo?”: lo prese in giro con un tono canzonatorio.
“Cambio di programma”: esclamò con un tono molto severo e autoritario:” Andiamo a villa Wayne”
Not a Kidge edit??? Sorry one is coming soon with headcanons and other!!!
Also I live for Pidge angst..
And the next chapter of Team Voltron Heroes will be pubished on Monday!!!!!
Kidge headcanon n.13
So, I decided to create some headcanons regarding their children, and I will surely make others because POST-CANON ROCKS! I won't put the ages because I don't know either, as I'll probably do stories or headcanons where ages change.
Mark: Dark brown hair, purple eyes, tall stature, introverted and impulsive, but still very logical and decisive and also a great pilot.
Athena: Black hair and purple eyes, normal/short stature, introverted and lonely, sometimes violent and very stubborn and rebellious and a great fighter.
Mark and Athena are not twins, but were born in the same year. Before you throw tomatoes, eggs and pianos at me, I'll explain why. Briefly, Mark was born in early/mid January and a couple of months later Pidge found out she was pregnant again, and she gave birth to Athena in late November or early December of that year. (It's possible, I did the bill I can swear to you). So yes, they have two children born in different months but in the same year…
Ryner: Black hair and brown eyes, short stature, lover of technology and combat, brave and shy and a creative inventor. She is 3 years younger than Mark and Athena.
Noah: Brown hair and brown eyes, slightly tall but still short, curious and fast, a real determined calculator. He is 2 years younger than Ryner and 5 years younger than Mark and Athena.