
...Strength and courage overrides the privileged and weary eyes of river poet search naiveté...
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Guarda "Noir Dsir - Des Visages Des Figures (Live Officiel Comme Elle Vient - Evry 2002)" Su YouTube
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J'ai douté des détails, jamais du don des nues
J'ai douté des détails, jamais du don des nues...
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rapsodia76 liked this · 3 years ago
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sciamanica liked this · 3 years ago
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Quindi si stendono mappe celesti, del tipo: la prossima volta che vai in pezzi, non cercare di restare insieme, spolverati sul paesaggio interiore finché scopri un puntino intatto. Credo proprio che si chiami cuore o luogo fondamentale o nucleo inviolabile o orto della tenerezza. Quando chiudi gli occhi, lascia andare ricordi e anticipazioni e resta nella vastità dello spazio, senza darle nomi.
Ci sono poi le mappe terrestri: la prossima volta che ti colpiscono, anche con uno spillo nascosto nella manica del sorriso, urla forte: «Ahi!», poi gira le spalle e vattene al piú presto.
Oppure mappe d’emergenza: ferma la mano di chi sta per colpire, spostati e lascia che il colpo cada nel vuoto, fai un silenzio cosí profondo che il colpo trovi ad aspettarlo solo l’eco.
Ma anche: prima di colpire, rifletti. Prima di colpire, esita. Prima di colpire, ricordati che male fa. Trasforma il colpo in parola precisa e disarmata. Aggiungi alti dosaggi di silenzio, di ascolto di cosa senti davvero in quel preciso, instabile momento.
In sintesi, sapere cosa sia e cosa senta il cuore è una faccenda di cicatrici, segui la cartina muta delle ferite e trova il luogo spoglio che chiamano cuore. Da lí in poi, guardati intorno e parla pure. Lascia segnali per tutti gli altri che seguiranno le loro piste, le loro cicatrici, per arrivare alla stessa spoliazione.
— Chandra Livia Candiani; Questo immenso non sapere
SOLITUDINE Ad A.M.C.
Ho le braccia dolenti e illanguidite
per un’insulsa brama di avvinghiare
qualchecosa di vivo, che io senta
più piccolo di me. Vorrei rapire
d’un balzo e poi portarmi via, correndo,
un mio fardello, quando si fa sera;
avventarmi nel buio, per difenderlo,
come si lancia il mare sugli scogli;
lottar per lui, finché mi rimanesse
un brivido di vita; poi, cadere
nella più fonda notte, sulla strada,
sotto un tumido cielo inargentato
di luna e di betulle; ripiegarmi
su quella vita che mi stringo al petto –
e addormentarla – e anch’io dormire, infine...
No: sono sola. Sola mi rannicchio
sopra il mio magro corpo. Non m’accorgo
che, invece di una fronte indolenzita,
io sto baciando come una demente
la pelle tesa delle mie ginocchia.
Milano, 4 giugno 1929 - Antonia Pozzi